L’alimentazione odierna, particolarmente attenta alla  salute, ha eliminato quasi totalmente gli alimenti fritti per il loro elevato apporto calorico, per la difficile digeribilità e per la preparazione più laboriosa. Gli alimenti fritti contengono infatti un’alta percentuale di grassi.  Non dimentichiamo però che i grassi si rivelano preziosi “trasportatori” delle vitamine liposolubili (A, D, E, K) e apportano sostanze come gli acidi grassi essenziali che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare.

Un consumo smodato di grassi è invece all’origine dell’obesità e delle malattie cardiovascolari.

Si può quindi trovare il giusto compromesso includendo i fritti nella nostra alimentazione senza esagerare nella quantità e nella frequenza, perché “fare la dieta” non significa evitare degli alimenti, ma saper dosare in qualità e quantità appropriate tutti gli alimenti, nessuno escluso.

La frittura è un tipo di cottura che rende i cibi molto gustosi e apprezzati in molte culture del mondo.

Questo metodo di cottura era usato già nel 2500 A.C. in Egitto.

Anche nell’antica Roma si friggevano i cibi, sia dolci che salati.

Le frictilia, una ricetta del periodo, sono le probabili antenate delle attuali chiacchiere o frappe di carnevale. Nella Roma antica, modernissima sotto molti aspetti, già all’epoca esisteva lo street food: infatti molte persone consumavano il pasto del mezzogiorno e diversi alimenti per strada, acquistando dalle varie bancarelle o da negozi. Questi negozi, le cauponae e le tabernae, vendevano diversi cibi fritti tra cui frittate e frittelle. Esistevano inoltre le vere e proprie botteghe di friggitori, citati anche dal poeta Marziale.

tabernae

Sembra che i giapponesi abbiano appreso l’arte della frittura intorno al XVI secolo da alcuni missionari portoghesi e che il nome Tempura della frittura giapponese venga dal latino tempora, ovvero periodo di astinenza dalla carne in cui i monaci cucinavano appunto verdure e pesce fritti per renderli più gustosi.

Il fritto nell’antica Roma era prevalentemente in olio di oliva o strutto. Invece nel Medioevo e fino a tempi recenti ha prevalso quest’ultimo. Nel Nord Italia  fino a poco tempo fa ha prevalso il burro.

Recentemente si usano anche materie grasse alimentari sottoposte a frazionamento, che permette di separarle in una parte solida e una liquida adatta anche a friggere (per esempio l’olio di palma bifrazionato) da sola o mescolata con altri oli; queste sostanze sono definite “prodotti per friggere” e non sono propriamente oli.

Dato l’alto contenuto in grassi, gli alimenti fritti vanno consumati con moderazione, soprattutto da chi ha problemi cardiovascolari e di fegato. La quantità di grasso assorbita durante la frittura varia da grasso a grasso e da cibo a cibo.

Per friggere in casa si usano pentole basse e larghe: possono essere in ferro, acciaio inox, rame, o alluminio anche con rivestimento antiaderente; oppure in alluminio con rivestimento in ceramica.

Padelle di rame erano già usate nell’antica Mesopotamia . Le padelle erano anche conosciute dalla Grecia Antica (erano chiamate téganon) e nell’Antica Roma (dove erano chiamate patella o sartaginem).

Marco Gavio Apicio nel suo testo “De re coquinaria” cita la patella frixilis.

Tra gli aspetti legati alla “sicurezza igienico-sanitaria” in questo specifico trattamento termico culinario, un ruolo fondamentale è rappresentato dalla temperatura, dalla qualità e dalle caratteristiche chimiche dell’olio utilizzato, dalle tecniche impiegate, dall’utilizzo delle attrezzature e degli strumenti adatti.

A questo proposito, ecco i consigli più importanti:

  • utilizzare solo oli idonei a tale tipo di cottura e cioè più resistenti al calore (più avanti vedremo quali sono i più consigliati);
  • curare che gli alimenti siano preparati in modo adeguato, in particolare che il sale e le spezie siano aggiunti solo a fine cottura;
  •  evitare che la temperatura superi i 180° perché al di sopra di questa temperatura si altera la composizione chimica dell’olio; in questo caso provvedere al ricambio dell’olio: un olio alterato si identifica con un imbrunimento, un’alterata viscosità e una maggiore tendenza al fumo.
  • Al momento dell’immersione l’olio deve avere la giusta temperatura; per verificarla intingere uno stuzzicadenti: la temperatura ideale è raggiunta quando intorno a esso si formano delle bollicine. Questa modalità di controllo deve essere eseguita ogni volta che si procede con una nuova frittura.
  • la frittura va fatta per immersione e questo ovviamente comporta l’utilizzo di molto olio. Eppure, contrariamente a quello che si dice da sempre, l’olio di frittura si può riutilizzare, basta seguire alcune semplici regole. Non raggiungere mai il punto di fumo, nemmeno per pochi secondi. Se le sostanze presenti nell’olio non si modificano e non bruciano l’olio mantiene le sue qualità organolettiche e può essere riutilizzato senza problemi.
  • Ovviamente l’olio va filtrato dopo ogni frittura in modo che i residui di cibo vengano eliminati evitando cosi che brucino nella frittura successiva.
  • evitare di aggiungere olio “fresco” all’olio usato, perché in questo modo si altera più velocemente;
  • conservare l’olio al riparo dalla luce.

Per coloro che hanno un’attività di ristorazione collettiva, si ricorda la Circolare del Ministero della Sanità 11 gennaio 1991, n 1 “oli e grassi impiegati per friggere gli alimenti” dove si indicano alcune regole per migliorare la qualità organolettica degli alimenti fritti tutelando contemporaneamente la salute del consumatore.

Si ricorda, sempre a proposito della ristorazione collettiva l’importanza del D. Lgs. 152/2006 s.m.i. il cd. T.U. ambientale che nell’art. 233, al c. 12 stabilisce come “chiunque, in ragione della propria attività professionale, detiene oli e grassi vegetali e animali esausti è obbligato a conferirli ai consorzi direttamente o mediante consegna a soggetti incaricati dai consorzi” per il conseguente riciclo.

Tali pratiche, devono essere riportate e documentate all’interno del proprio Manuale di Autocontrollo Igienico che dovrà essere conservato e tenuto a disposizione delle Autorità Competenti.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, un buon indicatore di degradazione degli oli è rappresentato dal contenuto di composti polari derivanti dalla trasformazione chimica (perossidi, acidi grassi liberi, polimeri, ecc.) che pertanto ha ritenuto di fissarne il loro tenore massimo a 25 g/100 g negli oli e nei grassi utilizzati per la frittura degli alimenti.

In virtù di ciò produrre cibi (pesce fritto), destinati alla somministrazione diretta ai clienti del proprio esercizio, con olio fortemente alterato (presenza di componenti polari superiori al 25%) costituisce violazione al disposto dell’art. 5 lett. d) e 6 della legge 30 aprile 1962, n. 283, e quindi un illecito penale.

Sostituendo l’olio troppo frequentemente però si rischia di sprecare risorse ancora sfruttabili. Viceversa, se l’olio è troppo usato, il valore composti polari è superiore al limite e gli alimenti fritti risultano essere tossici.
A tale scopo i ristoratori possono munirsi di tester per oli di frittura: è uno strumento di lavoro che garantisce la massima qualità degli alimenti fritti.
Il tester misura il contenuto di composti polari presenti in percentuale nell’olio. Quando questo supera il limite fissato al 25%, emette un segnale sonoro.

Gli oli sottoposti a trattamenti termici, come nel caso della frittura, possono subire una serie di trasformazioni chimiche che non solo possono alterarne le caratteristiche qualitative, soprattutto a seguito di un uso prolungato nel tempo, ma possono indurre nell’olio la formazione di sostanze tossiche nocive per la salute umana.

Le principali sono:

L’acroleina

Un’aldeide altamente tossica derivante dall’ossidazione termica dei grassi. Ad una temperatura di circa 180°C si assiste infatti all’innesco di reazioni chimiche che inducono la decomposizione dell’olio, osservabile dalla produzione di fumi dall’odore acre, dai quali deriva il nome appunto di acroleina, sostanza con azione irritante sulle congiuntive e sulle mucose, indicata da molti studi come altamente tossica in seguito sia ad inalazione che a ingestione.

L’acrilammide

Si forma quando gli alimenti che contengono amidi come ad esempio il riso, la pasta, il pane, i dolci, le patate, vengono fritti. Il rischio acrilammide aumenta in seguito all’innalzamento della temperatura e dei tempi di frittura. L’acrilammide è classificata dallo IARC (International Agency for research on Cancer) come “probabile cancerogeno” (gruppo A2).

In un rapporto della DGISAN  del 3/06/2015 si legge: “le patatine fritte confezionate meritano attenzione particolare in quanto su 58 campioni analizzati in 15 sono stati riscontrati livelli di acrilammide superiori a quelli ammmessi e qualche volta doppi”.

Le HCA(Ammine Etero Cicliche)

Le ammine etero cicliche si formano in alimenti contenenti proteine, creatina e zuccheri (quali carni e pesci) quando questi vengono scaldati a temperature che vanno dai 150°C ai 220°C.  Sono coinvolte nello sviluppo di alcuni tipi di cancro, colon e prostata perché svolgono un’azione sia mutagena che cancerogena.

Gli IPA

(Idrocarburi Policiclici Aromatici) una classe di composti aromatici (circa 17 tipi) molto eterogenea (alcuni dei quali indicati come cancerogeni, altri come interferenti endocrini e a questo proposito potete leggere l’articolo correlato “Gli interferenti endocrini“) che si producono in seguito a processi di combustione sia spontanei (incendi) che derivanti da attività umane.

Criteri che definiscono un olio adatto alla frittura sono il suo grado di insaturazione, presenza di doppi legami lungo la catena carboniosa all’interno degli acidi grassi ed il suo “punto di fumo”.

Il primo, determina la stabilità di un olio, punto cruciale della sicurezza igienico-sanitaria, in quanto i doppi legami rendono la molecola suscettibile di degradazione, quali l’ossidazione e l’idrolisi, processi attivati e aumentati in presenza di alte temperature che danno origine a sostanze ad elevata tossicità.

Il punto di fumo, invece è la temperatura massima raggiungibile, prima che l’olio inizi a bruciare e a decomporsi producendo sostanze tossiche (valore che risulta inversamente proporzionale alla quantità di acidi grassi insaturi in esso presenti).

Meglio quindi scegliere oli con punti di fumo alto, o controllare la temperatura mediante l’utilizzo di friggitrici termostatate e termometri a immersione o a raggi infrarossi.

La temperatura ideale per friggere si aggira tra i 160°C e i 240 °C massimo, con un optimum a 180°C. Per evitare che l’olio si bruci quando è arrivato al massimo del calore, basta non lasciarlo senza alcun ingrediente in cottura; se il cibo da friggere non fosse ancora pronto, è meglio spengere momentaneamente il fuoco.

Pertanto nella scelta di un olio è bene considerare che:

– L’olio di mais e l’olio di soia, molto ricchi in acidi grassi polinsaturi, presentano una resistenza media al calore che li rende facilmente ossidabili;

– l’olio di girasole presenta una resistenza media al calore e all’ossidazione. In alcuni casi però se “additivato” con sostanze antiossidanti può aumentare la stabilità;

– l’olio di colza per la presenza di un alto contenuto in acido erucico è considerato dall’EFSA un possibile rischio soprattutto per la salute dei bambini;

– l’olio di semi di arachidi ha un punto di fumo elevato (220°C), è ricco in acido oleico e vitamina E ed ha un sapore delicato. Già ideale per friggere, in alcuni casi viene “additivato” con sostanze antiossidanti, che ne aumentano la stabilità;

–  l’olio di palma raffinato (e non gli oli di palmisti!) è usato per il suo punto di fumo elevato, 240°C, e per la sua stabilità dovuta alla presenza dei grassi saturi. Rischioso però per la salute umana sia sotto l’aspetto nutrizionale che per la produzione di sostanze potenzialmente cancerogene come indicato nel parere dell’EFSA rilasciato nel marzo del 2016;

–  blend di oli specifici per la frittura, costituiti da miscele appositamente studiate per resistere alle alte temperature, anche se di fatto, in alcuni casi, sono costituiti semplicemente da olio di semi di girasole vari con aggiunta di olio essenziale di coriandolo, utile a ridurne lo sviluppo di odori pesanti;

–  l’olio extravergine di oliva: la presenza in esso di polifenoli ad attività antiossidante gli conferisce una maggiore resistenza al calore. Pur avendo un punto di fumo più basso (210°C), rispetto ad altre tipologie di oli, la presenza di queste sostanze determina minore produzione di acroleina. Ha però un gusto troppo caratteristico che lo rende meno adatto alla preparazione di dolci.

Infine tra i grassi animali possiamo considerare:

–  il burro poco stabile alle alte temperatura per il suo basso punto di fumo (130°C) e per la presenza in esso di una certa quantità di siero di latte (proteine)

–  il ghee indiano o burro chiarificato è più resistente alle alte temperature perché è stato proprio privato delle proteine;

–  lo strutto per la sua alta percentuale di acidi grassi monoinsaturi (acido oleico 41-58%) possiede un alto punto di fumo (250°C) e stabilità. Si usa raramente perché rende l’ambiente impregnato di un odore sgradevole.

Tipi di frittura

Traditional Irish Soda Bread

– al naturale

Ad esempio le patate fritte o una frittata: Il metodo di preparazione è molto semplice: basta immergere nell’olio già caldo il cibo al naturale, eventualmente tagliato a pezzi o a fette, scolarlo quando è cotto e asciugarlo sulla carta assorbente da cucina.

–  infarinatura

Il cibo deve essere passato nella farina, oppure prima nell’uovo sbattuto e poi nella farina. Al termine della cottura viene scolato e lasciato asciugare per qualche minuto sulla carta assorbente. I cibi che richiedono l’infarinatura sono, ad esempio, le scaloppine, i piccoli pesci, i molluschi e alcune verdure come le melanzane.

–  impanatura

Si tratta della modalità di preparazione che conferisce al cibo fritto il suo classico aspetto dorato. Consiste nel passare l’alimento nell’uovo sbattuto leggermente salato e poi nel pangrattato prima di friggerlo. Si può anche procedere all’impanatura passando il cibo prima nella farina, poi nell’uovo e quindi nel pangrattato: con questo sistema l’impanatura si gonfia staccandosi dall’alimento e la frittura risulta più croccante. Per chi non desidera usare l’uovo, è possibile impanare il cibo passandolo prima in un composto di farina diluita con acqua e insaporita con sale e noce moscata, poi nel pangrattato. L’impanatura è adatta, per esempio, per la cotoletta, il pollo, il coniglio a pezzi, i tranci di pesce e per le verdure lessate.

–  pastella

Gli ingredienti di base per la pastella sono: farina, uova (anche solo tuorlo o albume), un pizzico di sale, acqua, latte o birra per diluire l’impasto. Se deve essere utilizzata per cibi salati può essere insaporita con formaggio, prezzemolo o altri aromi, se invece serve per cibi dolci può essere arricchita con scorza di limone, arancia oppure cognac o vino dolce.

Spesso per gonfiare maggiormente la frittura viene aggiunto anche lievito di birra o gli albumi delle uova montati a neve.

La preparazione della pastella consiste nel setacciare la farina in una ciotola, diluirla con acqua sbattendo il tutto con una forchetta affinché non si formino grumi, aggiungere l’uovo e gli altri eventuali ingredienti. La densità deve essere tale che sollevando il composto con un cucchiaio dovrà ricadere a nastro.  Si procede con la frittura immergendo i cibi prima nella pastella poi nell’olio bollente. Gli alimenti ideali per questo tipo di frittura sono verdure e frutta di ogni genere.

Per la tempura giapponese è utilizzata un tipo di pastella preparata con acqua fredda, farina di riso e uovo (facolativo) mescolando velocemente senza curarsi dei grumi di farina, che invece conferiranno la tipica croccantezza ai cibi.

Tutti i grassi alimentari hanno un impatto devastante sull’ambiente e questo è importante raccogliere l’olio usato. Basta versarlo in una bottiglietta o in un contenitore idoneo e portarlo allo smaltimento differenziato oppure, a seconda dei paesi, riporlo nella spazzatura tradizionale.

In questo modo, dopo aver gustato una buona frittura, saremo anche in pace con la nostra coscienza!

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